Un articolo di: Redazione

Nell’ambito del Forum economico internazionale di San Pietroburgo si è svolto il panel sull’energia, nel corso del quale Igor Sechin, presidente della compagnia petrolifera russa “Rosneft”, è intervenuto con un discorso programmatico. Il presidente Sechin ha analizzato la situazione attuale e le prospettive di sviluppo del mercato globale dell’energia che si trova in uno stato di pericoloso squilibrio.

Igor Sechin

Nel suo discorso Igor Sechin ha dedicato molta attenzione al problema della “transizione energetica” che, nonostante gli sforzi colossali degli apologisti sembra stia subendo una sconfitta. Gli investimenti enormi che sono stati spesi per lo sviluppo delle fonti alternative di energia non sono riusciti a eliminare dal bilancio energetico globale i “combustibili fossili”, mentre già per sé l’attuale strategia della “transizione verde” non è in grado di garantire né la disponibilità, né la sostenibilità, né la stabilità degli approvvigionamenti di energia.

Il presidente di “Rosneft” ha sottolineato la necessità di elaborare nuovi approcci al problema cruciale della sicurezza energetica nel mondo, che nell’ambito del nuovo mondo multipolare devono rispettare gli interessi di tutta l’umanità, tutelando quelli della maggioranza della popolazione, rappresentata dai Paesi in via di sviluppo.

I sostenitori del concetto della “transizione energetica” accelerata puntano il dito accusatore sui combustibili fossili (petrolio, gas e carbone) come principali “inquinatori” dell’ambiente naturale e “responsabili” per le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera della terra. Secondo il presidente di “Rosneft” assolutamente “non esistono prove scientifiche di un legame tra le emissioni e il cambiamento climatico”.

Molti noti scienziati sono d’accordo che i cicli climatici della Terra si sviluppano secondo le leggi oggettive inerenti a qualsiasi corpo spaziale, che è influenzato dai fattori fondamentali come lo stato dell’atmosfera, l’attività solare e la distanza tra il Sole e l’orbita della Terra, l’angolo di inclinazione, le posizioni in cui si trovano gli altri pianeti rispetto alla Terra e molti altri fattori. “Il clima sulla Terra si sta trasformando, tra le altre cose, sotto l’influenza dei cambiamenti della forma dell’orbita terrestre, così come dei cambiamenti dell’inclinazione e della direzione dell’asse di rotazione del nostro pianeta. Questi fattori sono soggetti a cambiamenti ciclici, chiamati in nome del geofisico e dell’astronomo serbo Milutin Milanković, che per primo capì in che modo i periodi cosmici influenzano e cambiano il clima della Terra”, ha sottolineato Sechin, secondo cui l’attuale concetto della transizione “verde”, imposta dall’Occidente al resto del mondo somiglia sempre di più “a nove cerchi dell’inferno, descritti da Dante nella sua Divina Commedia”.

“Secondo alcuni autorevoli scienziati – ha sottolineato Sechin – tra i quali possiamo nominare il premio Nobel per la fisica, John Clauser, la causa principale del cambiamento climatico sulla Terra sono i meccanismi naturali di autoregolazione del pianeta e non per niente il fattore umano”.

Transizione energetica: lasciate ogni speranza, o voi che entrate

Le fonti di energia alternative non sono in grado di garantire la stabilità né la sufficienza di approvvigionamenti

Nel suo discorso, il presidente di “Rosneft” ha inoltre ricordato le ricerche, condotte nel 1976 dal futuro premio Nobel per la fisica, l’accademico sovietico, Petr Kapitsa, il quale, basandosi sui principi fisici fondamentali, come per esempio la legge di conservazione dell’energia, predisse la possibilità di una “crisi globale che potrà colpire la produzione di energia a causa della scarsa efficienza di tutti i tipi di energie alternative”.

Come sosteneva l’accademico Kapitsa, la caratteristica fondamentale di qualsiasi tipo di energia è la densità del suo flusso energetico. Secondo questo indicatore i combustibili fossili come petrolio (195 W/m2) e gas (482 W/m2) sono molto più produttivi rispetto sia all’energia solare (6,6 W/m2) che a quella eolica (1,8 W/m2), che, tra molti altri difetti, si caratterizzano da una natura disomogenea o, per dirla in un linguaggio più scientifico, da una natura “stocastica” della generazione di energia.

Igor Sechin ha notato, che in questo momento, “l’idrogeno è considerato il tipo di carburante “pulito” più promettente”. Tuttavia, per l’idrogeno non esistono ancora né una tecnologia di produzione realizzabile dal punto di vista commerciale, né la logistica, né i mercati – i mercati sono fondamentali – su cui si può vendere l’idrogeno. Bisogna inoltre tenere conto del tuttora basso coefficiente utile, dovuto al fatto che durante la produzione di idrogeno l’energia consumata per il processo dell’elettrolisi risulta essere maggiore della quantità di energia ottenuta all’uscita. Vale a dire che le fonti energetiche alternative non possono per il momento garantire né forniture sicure, né caratteristiche tecniche ed economiche ottimali.

La transizione “verde” non è sostenuta da fonti di buona resa, è un’illusione

I sostenitori della teoria del “fattore antropogenico” come causa del riscaldamento globale, ci presentano la transizione energetica come salvezza del mondo, ma è un’illusione. Nel momento in cui abbiamo già accumulato una certa esperienza di attuazione della transizione energetica, è chiaro che né il suo obiettivo né i preparativi per questo passaggio erano stati elaborati in conformità con le finalità né con le necessità dell’umanità, dalle infrastrutture, ai finanziamenti, alla base materiale e alla disponibilità delle tecnologie adeguate.

Secondo il capo di “Rosneft” negli ultimi due decenni in tutto il mondo nella transizione energetica sono stati investiti quasi 10 trilioni di dollari: “Ciononostante le fonti energetiche alternative non sono riuscite a sostituire i combustibili tradizionali. Oggi le energie eolica e solare rappresentano meno del 5% della produzione mondiale di energia, mentre la quota di veicoli elettrici è inferiore al 3% del totale”.

Simultaneamente nei 20 anni passati, il consumo di petrolio, di gas e di carbone è aumentato complessivamente del 35% e la loro quota totale nel bilancio energetico mondiale non è cambiata. Per di più, nel 2023 il consumo di petrolio e di carbone, nonché l’utilizzo di gas per la generazione di energia elettrica, hanno segnato un nuovo record. “La transizione “verde” non è sostenuta da fonti di buona resa, la possibilità di realizzare questa transizione rappresenta un’illusione, ma essa toglie gli investimenti all’energia tradizionale. Vale a dire che non ci sarà né l’uno né l’altro”, ha sottolineato il presidente di “Rosneft”.

Le cifre, che caratterizzano la spesa per il “go green” parlano da sé: per raggiungere entro il 2030 gli obiettivi stabiliti dall’Accordo di Parigi, la spesa globale per fermare il cambiamento climatico dovrà ammontare a circa 9 trilioni di dollari all’anno, ovvero 5 volte tanto la spesa già fatta nel 2023. Questo dato equivale a quasi il 10% del PIL mondiale e supera di 3 volte gli investimenti annuali in tutta l’industria dell’energia mondiale. Inoltre in termini di paragone questa spesa è pari ai PIL della Francia, del Regno Unito e dell’Italia messi insieme. Complessivamente, per poter raggiungere i target, fissati dall’Accordo di Parigi sul clima, entro il 2050 saranno necessari oltre 270 trilioni di dollari di investimenti.

Inoltre la realizzazione dell’agenda climatica richiederà la costruzione di un nuovo tipo di infrastruttura, come era già accaduto molte volte in passato: nel XIX secolo per aumentare la produzione di carbone si sono resi indispensabili notevoli investimenti nella costruzione delle miniere, dei canali e delle ferrovie. Inoltre per sviluppare il settore petrolifero nel XX secolo sono stati investiti cifre notevoli nella costruzione dei pozzi petroliferi, degli oleodotti e delle raffinerie. Infine per garantire la generazione di energia elettrica si è resa indispensabile la costruzione delle centrali elettriche e di un sofisticato sistema di reti per la trasmissione di elettricità.

Amici cari, ma patti chiari

Secondo il presidente di “Rosneft” il concetto fondamentale della transizione energetica consiste nel potenziamento del modello “unipolare” dell’ordine mondiale: “Questo concetto di transizione energetica si basa sulla discriminazione del mondo intero. Addirittura gli interessi degli alleati possono essere sacrificati in qualsiasi momento. Come dice un noto proverbio russo: “Amici cari, ma patti chiari”. Tutti questi aspetti si sono verificati con molta evidenza durante la realizzazione del progetto di “salvataggio” dell’Europa dalla sua immaginaria dipendenza dalle risorse energetiche russe. In sostanza, dopo aver sacrificato la propria sicurezza energetica, l’Unione Europea ha sacrificato anche la propria sovranità.

Dopo aver ridotto drasticamente gli acquisti di risorse energetiche russe, l’Unione Europea nel periodo compreso tra il 2021 e il 2023 ha speso per le importazioni di gas da altri Paesi più di 630 miliardi di dollari.

Questa spesa è comparabile con:

  • la spesa totale per il gas dell’Europa negli otto anni precedenti;
  • si sta avvicinando agli investimenti europei nell’energia “verde” nel periodo indicato sopra;
  • il PIL della Svezia e della Polonia;
  • e supera di quasi quattro volte il PIL totale dei Paesi baltici.

E per la prima volta in molti decenni, ha sottolineato Sechin, ’Europa si è trovata di fronte a una nuova realtà: gli europei sono diventati più poveri. “Nonostante i sussidi statali, dal 2021 al 2023, i prezzi del gas per le famiglie in Europa sono quasi raddoppiati. Gli elevati costi di energia stanno costringendo le famiglie europee a ridurre all’osso i loro consumi di gas: a causa dello shock dei prezzi, nei due anni passati la domanda di gas nei settori residenziale e commerciale in Europa è diminuita di oltre il 20% e continua a calare anche quest’anno”, ha detto il ceo di “Rosneft”.

Vale a dire che l’Europa cerca di raggiungere i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni, tagliando il consumo di energia e rallentando la crescita economica. La continuazione di questa politica potrebbe, alla fine, distruggere l’industria europea. “Come sapete, il consumo di energia più basso si registra al cimitero”, ha sottolineato Sechin.

Il neocolonialismo “verde”

Secondo il presidente di “Rosneft” la transizione “verde” rappresenta una specie di neocolonialismo nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. “Per quanto riguarda i Paesi in via di sviluppo, la situazione che si sta per creare è ancora più inaccettabile: con il pretesto della transizione “verde” si costruisce in pratica una specie di neocolonialismo ‘verde’”, ha detto Sechin, ricordando che “solo nel periodo dal 1990 al 2015, la ‘fuga di risorse’ dai Paesi in via di sviluppo verso quelli sviluppati ha superato i 240 trilioni di dollari”.

La transizione energetica, o meglio dire il programma annunciato di transizione energetica, rappresenta una barriera di sanzioni molto ben motivata e impossibile da superare per l’88% della popolazione della Terra, ovvero per tutti i coloro che non fanno parte del cosiddetto “miliardo d’oro”. Si tratta, in realtà, di sanzioni non annunciate, che nel frattempo vengono applicate eccome.

Il mercato energetico globale diventa sempre più destabilizzato

“La combinazione della penuria di energia, derivante dalla transizione energetica, di un’ampia gamma di sanzioni dirette e della concorrenza sleale, tutti questi fattori hanno portato allo squilibrio del mercato”, ha sottolineato il ceo di “Rosneft”. Le sanzioni illegittime, imposte dagli Stati Uniti al Venezuela, all’Iran e alla Russia hanno influenzato la produzione di un totale di quasi 18 milioni di barili di petrolio al giorno e hanno aiutato gli Stati Uniti a conquistare una quota significativa del mercato di energia. Come risultato di questa politica, le risorse energetiche sono diventate la principale voce delle esportazioni degli Stati Uniti.

Per quanto riguarda la Russia, la Casa Bianca ha in programma la riduzione delle entrate petrolifere della Russia. “In sostanza – ha detto Sechin – ciò significa spazzare via dal mercato globale le esportazioni di petrolio russo via mare”.

In questa situazione “le compagnie americane hanno scelto la strada del consolidamento del settore”, quando le major come “Exxon” e “Chevron” organizzano i deal di fusione con gli altri produttori, aumentando le loro capacità di estrazione di idrocarburi al fine di garantire la crescita dei profitti e dei dividendi. Invece la crescita della produzione resta fuori campo, poiché richiede molti investimenti, che devono essere garantiti da prezzi elevati.

L’anno scorso il volume delle operazioni di M&A nel settore gaspetrolifero degli USA ha raggiunto i 200 miliardi di dollari. Negli ultimi due anni, le cinque maggiori compagnie gaspetrolifere occidentali hanno speso la cifra record di 220 miliardi di dollari in pagamenti ai propri azionisti, ovvero il 30% in più rispetto ai loro rispettivi investimenti nello stesso periodo.

I “barili fantasma” contro l’OPEC

Le riserve petrolifere che stanno creando le compagnie petrolifere occidentali e quelle del Medio Oriente possono prefigurare seri e imminenti cambiamenti della situazione del mercato globale di energia. Quattro Paesi chiave dell’OPEC – l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait e l’Iraq – dispongono di una significativa capacità produttiva ancora non utilizzata stimata in circa 5,6 milioni di barili al giorno, pari al 13% dell’attuale produzione di OPEC+. “La presenza di questi ‘barili fantasma’ è capace di avere un forte impatto sul mercato e addirittura annullare l’influenza della riduzione volontaria delle produzioni, decisa dai principali Paesi-partecipanti dell’OPEC+. Lo si può capire analizzando le quotazioni di mercato, che invece di salire sono scese dopo la recente decisione sulla riduzione della produzione, annunciata dai ministri dei Paesi partecipanti dell’OPEC+”, ha spiegato il capo di “Rosneft”.

Ciononostante i budget della maggior parte dei Paesi-membri dell’OPEC+ sono in grado di sopportare un eventuale calo dei prezzi petroliferi, che potrà essere parzialmente o completamente compensato dall’aumento delle vendite. Per quanto riguarda l’industria petrolifera russa, un calo dei prezzi potrebbe significare la possibilità di eliminare tutte le restrizioni, legate al cosiddetto “tetto del prezzo” (price cap).

La transizione “verde” è poco efficiente nella sua forma attuale

Gli europei stanno già notando che la politica climatica dei loro Paesi sta gravando sulla loro stessa borsa, provocando la corsa dei prezzi dell’energia, degli immobili, dei trasporti e dei generi alimentari. Di conseguenza il conto presentato ai contribuenti europei per l’agenda “verde” supererà presto i 500 miliardi di euro, e questa cifra è tutt’altro che definitiva. Secondo la Camera di Industria e di Commercio della Germania, i top manager di oltre il 50% delle aziende tedesche hanno un atteggiamento negativo nei confronti della transizione energetica.

Alcuni Paesi della UE, come la Germania, la Francia, il Belgio, la Svezia e alcuni altri, sono già pronti a riconsiderare il loro approccio alla realizzazione degli obiettivi del cosiddetto Patto Verde dell’Europa. Intanto la Banca Mondiale (World Bank, WB) in un suo recente rapporto ha fatto slittare di 10 anni in avanti, ovvero al 2060, la tempistica stabilita in precedenza per raggiungere gli obiettivi della transizione “verde”. Siamo convinti che gli obiettivi posti nell’ambito della riduzione delle emissioni saranno rivisti ancora molte volte.

In questo contesto Sechin ha ricordato che “la compagnia “Shell” ha abbandonato il suo obiettivo di ridurre le emissioni del 45% entro il 2035 e sta pianificando invece una riduzione dei dipendenti occupati nelle divisioni che lavorano sui progetti della lotta contro il cambiamento climatico”.

Anche gli investitori si stanno deludendo della transizione “verde”. Un noto fondo d’investimento – Blackrock – essendo il più grande operatore del mercato finanziario e un apologeta della transizione verde, avendo piazzato i suoi rappresentanti direttamente nell’amministrazione della Casa Bianca, come Brian Deese – direttore del Consiglio Economico Nazionale, Adewale Adeyemo – primo vice segretario del Tesoro degli Stati Uniti e Mike Pyle – consigliere del vicepresidente degli Stati Uniti, ha cercato altre destinazioni per i suoi investimenti. Il fondo sta investendo molto attivamente nel complesso militare-industriale americano. Gli investimenti di “Blackrock” nelle cinque maggiori società dell’industria della difesa degli USA, che originariamente erano destinati alla transizione “verde”, attualmente superano i 20 miliardi di dollari.

È necessaria una transizione “verde” equilibrata: focus sul rispetto degli interessi della maggioranza

Per non gettare il mondo in una profonda crisi energetica la transizione “verde” deve essere equilibrata e volta a soddisfare gli interessi della maggioranza dell’umanità, che nei prossimi anni assicurerà una crescita dei consumi energetici. Parliamo, ovviamente, dei Paesi in via di sviluppo. Dopotutto, sono proprio i Paesi sviluppati, che attualmente rappresentano una minoranza della popolazione mondiale, ad aver contribuito maggiormente alle emissioni nocive nell’atmosfera. Secin ha voluto ricordare che le emissioni dei Paesi sviluppati sono pari al 65% del totale delle emissioni scaricate nell’atmosfera negli ultimi 200 anni; la parte più ricca dell’umanità, che non supera il 10% della popolazione mondiale, è responsabile per la metà di tutte le emissioni di CO2; l’1% più ricco della popolazione mondiale produce il doppio delle emissioni di anidride carbonica rispetto al 50% della popolazione che rappresenta la parte più povera; l’intero continente africano eroga meno del 4% delle emissioni del mondo.

Inoltre per raggiungere la sicurezza energetica è necessario garantire la sufficienza, la disponibilità e la sostenibilità delle fonti dell’energia. “Dopotutto – ha sottolineato Sechin -, attualmente i consumatori sono preoccupati non solo per le emissioni, ma anche per la fornitura stabile di energia generata da nuove fonti, nonché per la sostenibilità e per la comodità di utilizzo delle nuove tecnologie. Sfortunatamente, la strategia della transizione “verde” nella sua formulazione attuale non tiene conto di queste esigenze”.

Uno dei tanti parcheggi di auto elettriche non vendute

I veicoli elettrici non sono per niente una panacea

Per illustrare i problemi della transizione energetica il ceo di “Rosneft” ha scelto il tema dei veicoli elettrici. Secondo Sechin “contrariamente alle previsioni ottimistiche, i veicoli elettrici non sono per niente una panacea per curare tutti i problemi ambientali. La domanda di veicoli elettrici sta rallentando in tutto il mondo, nonostante gli sforzi senza precedenti da parte dei Governi volti al sostegno questo settore”.

La revisione della politica delle sovvenzioni alle vendite dei veicoli elettrici è un’illustrazione degli errori commessi durante la pianificazione e della frettolosità con cui i Paesi occidentali sin dall’inizio hanno affrontato l’elettrificazione dei mezzi di trasporto. Dopo aver attirato alcuni anni fa gli acquirenti grazie a sovvenzioni piuttosto elevate, i Governi occidentali stanno ora pianificando l’introduzione delle tasse sui veicoli elettrici per tappare le falle dei bilanci pubblici. Secondo le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) entro il 2035, il passaggio ai veicoli elettrici potrebbe creare un disavanzo pari ai 110 miliardi di dollari per le tasse non pagate sui carburanti, che erano destinati alla manutenzione delle reti autostradali e al miglioramento delle infrastrutture di trasporto.

Il sistema energetico occidentale non è pronto per un aumento del carico

“Negli ultimi dieci anni – ha dichiarato Sechin – i giganti tecnologici occidentali hanno lavorato duramente per demonizzare i combustibili fossili, per chiudere le centrali elettriche, le fonti delle forniture stabili di energia elettrica, promuovendo invece le energie rinnovabili poco sicure”. Però come hanno dimostrato le crisi energetiche su larga scala in California e in Texas, né i pannelli solari né gli impianti eolici sono in grado di sostituire la generazione elettrica tradizionale.

Come risultato di un’aggressiva campagna pubblicitaria, durata anni e anni, e grazie agli sforzi delle lobby, l’energia rinnovabile ha cacciato via dal mercato energetico del Nord America una notevole quantità delle centrali per la generazione sicura e affidabile di energia elettrica. Come risultato ampie zone degli USA e del Canada rischiano di dover far fronte alla penuria di energia elettrica.

E, attualmente, gli stessi giganti tecnologici stanno raccogliendo i frutti delle proprio “lavoro”. La crescente domanda di elettricità da parte dei centri di elaborazione dati non può più essere soddisfatta dalle capacità esistenti di generazione. Mentre prima del 2019 il consumo globale di elettricità in questo settore si trovava praticamente in stallo, negli ultimi quattro anni è aumentato di 2 volte. Secondo le stime della banca d’investimento “Goldman Sachs” il consumo mondiale di elettricità dai Centri di elaborazione dati potrà aumentare ancora di 2,5 volte per il 2030, ovvero di 1.000 Terawatt (TW), pari al consumo di energia elettrica della Germania e della Francia messi insieme.

Inoltre una sempre più vasta implementazione dell’intelligenza artificiale accelererà ulteriormente la crescita del consumo energetico. E questo perché attualmente a ChatGPT per elaborare una sola richiesta ci vuole 10 volte più elettricità, rispetto all’analogo consumo del motore di ricerca Google.

“Ma l’attuale boom dell’intelligenza artificiale – ha sottolineato Sechin – richiede una riflessione a parte molto profonda e particolare. Bisogna tenere conto del fatto che l’intelligenza artificiale utilizzerà per il proprio sviluppo sempre di più i dati provenienti da uno spazio informativo in stato di degrado, all’interno del quale ognuno ha il diritto di esprimere la propria opinione, anche se è l’opinione di un matto”.

La produzione del litio è un disastro per l'ambiente naturale

L’elettrificazione del trasporto e l’aumento della domanda di metalli

Secondo le previsioni dell’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) per realizzare il target della neutralità carbonica, già per l’anno 2030, si renderà indispensabile aumentare la produzione di rame di quasi 1,5 volte, di nichel e di cobalto di 2 volte e di litio di oltre 4 volte. Ciò potrà aumentare ancora di più la pressione sul suolo della Terra, sull’acqua e sulle risorse naturali nei Paesi in via di sviluppo, dove si trova la maggior parte dei giacimenti minerari criticamente importanti per la transizione “verde”.

Oltre ai due metalli critici, ovvero il litio e il cobalto, diventa sempre più acuto il problema del rame, il cui consumo annuo – anche senza prendere in considerazione il fabbisogno dell’“agenda verde” – supererà per il 2050 i 900 milioni di tonnellate. Oltre a questo, per l’elettrificazione del parco globale delle vetture elettriche (senza tenere conto di altri obiettivi di transizione energetica) ci vorranno altri 500 milioni di tonnellate. In questo modo, il consumo complessivo di rame entro il 2050 potrà superare di due volte l’intero volume di questo metallo prodotto in precedenza durante tutta la storia dell’umanità. Inoltre questo volume supera del 60% tutte le riserve di rame potenzialmente estraibili dal sottosuolo al giorno d’oggi.

Superare la disuguaglianza energetica non sarà possibile senza le forniture sicure di petrolio e di gas

Dal punto di vista di Igor Sechin, “la crescita del consumo di petrolio è un modo per combattere la povertà. I Paesi in via di sviluppo garantiranno la crescita della domanda di energia”. Non può non stupire il divario nel consumo di energia tra i Paesi poveri e quelli ricchi. Ad esempio, il consumo pro capite in India, dove vive circa il 20% della popolazione della Terra, è undici volte inferiore a quello degli Stati Uniti. Nel suo complesso, nei Paesi del cosiddetto G7, dove vive meno del 10% della popolazione mondiale, il consumo di energia pro capite è quasi tre volte superiore alla media mondiale.

“Vorrei ricordare – ha detto Sechin – che proprio nei Paesi in via di sviluppo dell’Asia e dell’Africa si registra la maggiore crescita demografica e, di conseguenza, aumenta molto rapidamente il fabbisogno di risorse energetiche”. È ovvio, che in questa situazione, la riduzione globale del consumo di risorse fossili significherebbe automaticamente non solo la preservazione, ma addirittura il peggioramento e l’acutizzazione del problema della fame e della povertà energetica.

“Vale a dire che la promozione aggressiva dell’“agenda verde” significa di fatto la dichiarazione della guerra energetica alla maggioranza della popolazione della Terra”, ha sottolineato il presidente di “Rosneft”, secondo cui “superare la disuguaglianza energetica è impossibile senza le forniture stabili, sicure e sufficienti di petrolio e di gas”.

Coloro che lottano a favore di un divieto totale dei combustibili fossili, o anche quelli che si pronunciano a favore di una “rinuncia graduale”, farebbero bene a considerare che ruolo svolge il petrolio nel mondo moderno. Oltre alla produzione di derivati petroliferi, il petrolio viene utilizzato per produrre l’immenso numero di beni di largo consumo, senza i quali non è più possibile immaginare la vita di una persona moderna.

Rinunciare al petrolio significherebbe anche rinunciare allo stile di vita moderno. E al contrario, per molti Paesi, l’aumento del consumo di petrolio significherà la possibilità di accedere ai beni della civiltà.

Non è affatto sorprendente che la domanda di petrolio nel mondo continui a crescere, nonostante le aspettative del cosiddetto “picco della domanda di petrolio”. Penso che la previsione dell’OPEC presenti un quadro piuttosto realistico del futuro energetico mondiale. Secondo questa previsione la domanda di petrolio aumenterà di quasi il 20%, ovvero fino ai 116 milioni di barili al giorno entro il 2045, mentre il petrolio continuerà a costituire circa il 30% del bilancio energetico globale.

Nei prossimi decenni i Paesi in via di sviluppo continueranno a essere i principali motori dell’aumento dei consumi di petrolio. Già per il 2030 la crescita della domanda in questo gruppo di Paesi dovrebbe rappresentare complessivamente il 95% della crescita mondiale dei consumi. La più elevata crescita della domanda di petrolio è prevista nei Paesi asiatici, i principali partner economici della Russia, tra cui l’India che negli ultimi anni ha raggiunto molti progressi economici significativi. “Dal 2010 – ha ricordato Sechin – la domanda di energia in India è cresciuta del 45%, rendendo il Paese il terzo maggiore consumatore di energia al mondo”. Secondo le previsioni, nei prossimi cinque anni l’India proseguirà il suo potente slancio economico e diventerà una delle tre maggiori economie del mondo con un PIL pari a 5 trilioni di dollari, per superare entro il 2050 gli Stati Uniti in termini di dimensioni della propria economia. Entro il 2050 il consumo di energia in India dovrà aumentare del 90%, e sarà uno dei tassi di crescita di consumi energetici più rapidi al mondo.

La Russia è il garante della sicurezza energetica e il Paese-leader del settore energetico globale

Nonostante la crescente pressione delle sanzioni, la Russia mantiene il suo ruolo di uno dei leader del settore energetico globale. Tenendo conto dei fattori di influenza, la Russia continua a sviluppare il proprio potenziale di crescita dell’industria dell’energia e a consolidare le proprie posizioni sul mercato energetico mondiale.

Non molto tempo fa, il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ha sottolineato l’importanza di riorientare le esportazioni russe verso i mercati in rapida crescita dell’area Asia-Pacifico.

“Voglio ricordare – ha dichiarato il ceo di ‘Rosneft’ – che la sterzata delle esportazioni energetiche russe verso i mercati dell’area Asia-Pacifico era iniziata dopo la costruzione dell’oleodotto “Siberia Orientale – Oceano Pacifico” e in seguito all’afflusso degli investimenti nel settore gaspetrolifero dell’India, ovvero molto, ma molto prima della chiusura dei mercati europei per la Russia”. Attualmente, la regione dell’Asia-Pacifico consuma oltre l’80% delle esportazioni petrolifere russe, ed è già evidente che il riorientamento delle forniture si è pienamente giustificato.

In questo contesto va notato lo sviluppo del progetto della Rotta marittima del Nord, una nuova arteria di trasporto che permetterà di collegare la ricchissima base di risorse naturali del Nord della Russia ai mercati dei Paesi in via di sviluppo. Grazie a questo progetto, i consumatori di energia in Asia potranno accedere alle ricchissime risorse delle zone offshore dell’Artico e della Siberia. “Voglio ricordarvi – ha sottolineato Sechin – che attualmente i siti minerari dell’Artico producono rispettivamente il 10% del petrolio e il 25% del gas naturale mondiali. Ricordiamo anche che l’80% di tutte le riserve mondiali di petrolio e di gas sono concentrate nei territori dell’Artico russo”.

La dedollarizzazione del commercio e lo sviluppo dei sistemi di pagamento alternativi

Secondo Igor Sechin uno dei motivi della graduale dedollarizzazione dell’architettura delle finanze mondiale è stato l’uso del dollaro come strumento di pressione e di manipolazione. “A cominciare dal 2001 la quota del dollaro nelle riserve auree e valutarie internazionali è scesa dal 71% al 58%. La crisi di fiducia nei confronti del dollaro USA in quanto valuta di riserva, ha fatto sì che le banche centrali dei Paesi in via di sviluppo abbiano privilegiato altre forme di attività difensive, tra cui l’oro. Di conseguenza negli ultimi dieci anni la quota dell’oro nelle riserve internazionali è praticamente raddoppiata”, ha detto il ceo di “Rosneft”.

Il commercio denominato nelle valute nazionali e lo sviluppo dei sistemi di pagamento alternativi rappresentano le condizioni indispensabili per poter continuare le esportazioni di petrolio russo. Sono già stati compiuti progressi significativi in questa direzione: negli ultimi due anni la quota del rublo nei pagamenti per le esportazioni è più che triplicata per superare attualmente il 40%.

“Voglio sottolineare – ha detto Sechin – il ruolo crescente delle valute dei Paesi amichevoli nel commercio mondiale. Il processo della dedollarizzazione è molto ben illustrato dai recenti successi della Cina nell’utilizzo dello yuan. Così nel settembre nell’anno scorso, lo yuan ha superato per la prima volta l’euro nelle transazioni commerciali eseguiti tramite il sistema interbancario SWIFT”.

È anche dimostrativa la dinamica dei pagamenti reciproci russo-cinesi. Il flusso reciproco significativo di merci, nonché i flussi di merci provenienti dai Paesi terzi hanno consentito ai nostri due Paesi di passare rapidamente ai pagamenti in valute nazionali, la cui quota alla fine del 2023 ha superato il 90%.

Conclusioni

Nel momento in cui l’inconsistenza del concetto della “transizione verde” è diventata evidente, dobbiamo elaborare una nuova strategia delle forniture di energia stabili e sicure, tenendo conto delle esigenze dei Paesi in via di sviluppo.

L’industria petrolifera russa è autosufficiente dal punto di vista della disponibilità di risorse naturali, delle tecnologie ed è in grado di risolvere tutti i problemi che deve e dovrà affrontare. “Ma voglio anche dire – ha sottolineato il presidente di ‘Rosneft’ – che non abbiamo alcun dubbio riguardo alla capacità del complesso industriale energetico della Russia di fornire i volumi di risorse energetiche indispensabili ai consumatori nazionali russi e nulla ci impedirà di adempiere ai nostri obblighi di contratto nei confronti di tutti i nostri partner”.

E, in conclusione del suo discorso programmatico, Igor Sechin ha voluto citare le parole dell’eminente filosofo cinese Confucio: “Là, dove finisce la pazienza, inizia la resistenza”.

Per scaricare la presentazione del discorso di Igor Sechin dal Sito di Pluralia (PDF in italiano) ecco il link

Giornalisti e Redattori di Pluralia

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