Libertà di stampa, Italia al 46° posto dopo Armenia, Fiji e Tonga

Rispetto al rapporto precedente, l’Italia scende di cinque posti e si piazza subito prima della Polonia

L’Italia è al 46° posto su 180 Paesi nell’Indice mondiale della libertà di stampa, pubblicata venerdì 3 maggio da Reporters Sans Frontieres (Reporter senza frontiere, RSF). Il rapporto è stato presentato in occasione della “Giornata mondiale della libertà di stampa”, proclamata nel 1993 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per evidenziare l’importanza della libertà di stampa e ricordare ai Governi il loro dovere di sostenere e far rispettare la libertà di parola, sancita dall’Articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948.

Nella lista elaborata da RSF l’Italia rispetto al rapporto del 2023 è stata declassata di cinque posti, pizzandosi dopo l’Armena, il Fiji, e il Regno di Tonga, ma prima della Polonia, della Croazia e della Romania.

Il numero totale di punti ottenuti dall’Italia è aumentato da 41 a 46. L’Italia è stata penalizzata in particolare dal suo quadro legislativo, che è risultato “ben al di sotto” degli altri indicatori (27° posto). “La libertà di stampa in Italia – scrive il rapporto RSF – continua a essere minacciata dalle organizzazioni mafiose, soprattutto nel sud del Paese, e da vari gruppi estremisti che compiono atti di violenza. I giornalisti lamentano anche i tentativi della classe politica di ostacolare la diffusione della libera informazione in ambito giudiziario attraverso una “legge bavaglio”, oltre alle procedure SLAPP diffuse nel Paese”.

SLAPP (simile a “slap”, schiaffo in lingua inglese) è un termine nato dall’acronimo di “Strategic Lawsuit Against Public Participation” (traducibile in italiano con “azione legale strategica contro la partecipazione pubblica”), per identificare le azioni legali tese a bloccare la partecipazione alla vita pubblica. Vincere non è l’obiettivo principale di questa azione legale. L’obiettivo è intimorire l’avversario – secondo RSF i giornalisti – e reprimere il dibattito pubblico. La SLAPP non è fondata su reali motivi giuridici.

In generale, hanno scritto gli analisti di RSF “il panorama mediatico italiano è ben sviluppato, con un’ampia gamma di media che garantiscono una diversità di opinioni. Il settore audiovisivo è composto da diversi canali televisivi pubblici (ad esempio RAI1) e stazioni radiofoniche generali, oltre a un gran numero di media privati. Questa diversità si riflette anche nella carta stampata, che comprende una ventina di quotidiani (Corriere della Sera, La Repubblica, ecc.), una cinquantina di settimanali (L’Espresso, Famiglia Cristiana, ecc.), oltre a numerose riviste e siti web di informazione”

Per quanto riguarda il “contesto politico” del lavoro giornalistico in Italia, RSF ha notato che “nel complesso, i giornalisti italiani lavorano in un clima di libertà. Tuttavia, i professionisti dell’informazione a volte cedono all’autocensura, sia a causa della linea editoriale seguita dal proprio organo di informazione, sia per timore di possibili azioni legali come le querele per diffamazione. Questa posizione vulnerabile dei giornalisti rischia di essere aggravata dall’applicazione della ‘legge bavaglio’, voluta dalla maggioranza del premier Giorgia Meloni”.

La norma prevede “il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare, finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare.

I primi tre posti sono tutti occupati da Paesi scandinavi, nell’ordine: Norvegia, Danimarca e Svezia. In fondo alla classifica si trovano invece l’Afghanistan, la Siria e sull’ultimo gradino l’Eritrea.