Françafrique, adieu…

Le ex colonie francesi sempre più lontane da Parigi. Si moltiplicano i passi per ridurre progressivamente la dipendenza dall'ex potenza di riferimento. Sostituita da nuovi attori sul prezioso scacchiere africano

-La Francia nel Sahel e nell’Africa occidentale: il grande sconvolgimento

Dakar, Bamako, Ndjamena, Ouagadougou e più recentemente Niamey, le stesse scene dal marzo 2021 si ripetono e si assomigliano: la strada tuona “Francia vattene”, le insegne francesi vengono saccheggiate (Auchan, Eiffage, Orange, Total), viene bruciata la bandiera tricolore, mentre in alcuni casi viene esposta con orgoglio la bandiera russa. L’operazione Barkhane, iniziata nel 2014 nel Sahel, è stata costretta a ritirare le sue forze militari in Niger nel 2022, per poi lasciare il teatro delle operazioni nel dicembre 2023. Sbalorditi da questa ondata “liberatoria”, numerosi media e analisti francesi e occidentali concludono con l’affermazione di un sentimento antifrancese in Africa, una storia di ripicca amorosa insomma, dove in realtà ci sono battaglie politiche certamente miste a rabbia e risentimento accumulato.

L’espressione sentimento antifrancese è per molti versi problematica. Si tende a depoliticizzare le questioni mentre, da un lato, gli analisti africani rifiutano questa espressione che li porrebbe dalla parte dell’emozione piuttosto che della ragione e, dall’altro, squalifica le lotte condotte dagli africani per l’accesso alla loro sovranità militare, economica e monetaria (1).

– Lotte politiche a favore di una sovranità affermata: il franco CFA in questione –

In un video del 2019, il futuro primo ministro italiano di estrema destra, Giorgia Meloni, ha accusato, con un attacco populista diventato virale il franco CFA, e quindi Parigi, parte di questo sistema, di essere responsabili della povertà nell’Africa subsahariana francofona e della migrazione in Europa. Oltre ai dissensi diplomatici che queste affermazioni potrebbero aver causato, Giorgia Meloni ha stabilito dei nessi di causa ed effetto – franco CFA/migrazione – che non è mai stato possibile dimostrare. Le migrazioni africane sono principalmente intra-africane: movimenti interni e migrazioni nei paesi vicini (2). Nonostante tutto, la rappresentante italiana ha posto, in termini certamente errati, una questione di grande attualità nel 2024: la fine del franco CFA.

Cominciamo col precisare che la Francia è legata da accordi di cooperazione monetaria con tre zone monetarie africane: l’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (UEMOA), la Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (CEMAC) e l’Unione delle Comore (3). Dal 2019 sono state avviate riforme, in particolare per la zona UEMOA.

Nel dicembre di quell’anno, il presidente Alassane Ouattara, insieme al suo omologo francese Emmanuel Macron, annunciò la fine del franco CFA. Quattro anni dopo questa valuta è ancora in circolazione. Gli stati del Sahel centrale e il Senegal hanno annunciato, in fasi diverse, di voler uscire da questo sistema. E dal 2020 sono state intraprese riforme significative: l’eliminazione dell’obbligo di versare la metà delle riserve valutarie della zona UEMOA sul conto operativo del Tesoro francese e il ritiro della Francia dagli organi di governance valutaria. Tuttavia, ciò resta insufficiente per i detrattori di questo sistema monetario. Da un lato, il nome resta immutato e simbolicamente connotato – è stata appena modificata la declinazione dell’acronimo franco delle Colonie Francesi d’Africa del 1958, divenuto franco della Comunità Finanziaria d’Africa – anche se il nome Eco, diminutivo dell’acronimo inglese di ECOWAS (4) è stato, nel 2019, preso in considerazione da parte dell’Africa occidentale senza riuscire ad affermarsi.

D’altro canto, la Francia resta garante di questa moneta e della sua parità fissa con l’euro. Questo ruolo di garante, secondo l’economista senegalese Ndongo Samba Sylla, è “un’arma invisibile che la Francia potrà  sempre utilizzare per allineare i leader dissidenti”, un metodo secondo lui sempre dimostrato durante l’adozione delle sanzioni contro i regimi militari (5). L’economista togolese Kako Nubukpo, noto per le sue posizioni anti-CFA, si pronuncia a favore dell’apertura di un dibattito da parte africana per una riforma profonda del sistema seguendo una chiara tabella di marcia: definizione del perimetro geografico (UEMOA/ECOWAS?), un nuovo paniere monetario, un calendario e l’adozione di un nuovo nome (6). Parigi, dal canto suo, sembra pronta al disimpegno totale, come ha suggerito il suo ministro degli Esteri Stéphane Séjourné, invitando gli africani ad assumersene la responsabilità. Per la Francia si tratta a questo punto di banalizzare la questione e dimostrare di aver cambiato la sua logica in Africa. Riusciranno i capi di Stato africani a raggiungere posizioni comuni? Nulla è meno certo, se non che il processo di scomparsa del franco CFA sembra ormai avviato.

–  La Francia deve affrontare la concorrenza per l’accesso ai minerali strategici in Africa –

I fantasmi della Françafrique sono ancora in agguato: mano invisibile di Parigi nelle decisioni, opacità dei contratti, concussione delle élite. Abbastanza paradossalmente, e nonostante le voci persistenti secondo cui la Francia avrebbe avviato le operazioni Serval (2013) e poi Barkhane (2014) nel Mali e nel Sahel centrale per saccheggiare le risorse naturali di cui abbondano questi Paesi (oro, uranio), le imprese francesi – ad eccezione di Orano (ex Areva) in Niger – sono lungi dall’essere in una situazione monopolistica in questi Paesi. Secondo gli ultimi dati a disposizione, nel 2022 la Francia rappresentava lo 0,52% delle importazioni del Mali e, nel 2019, non faceva parte dei cinque Paesi importatori di oro e cotone dal Burkina Faso.

Secondo i recenti dati di Ecofin Pro, la Francia non compare tra i principali attori nel settore minerario africano. Attualmente è coinvolta in quattro progetti, di cui due sull’uranio in Niger, uno sul manganese in Gabon e uno sul niobio in Namibia. In un articolo dal titolo “Le nuove sfide dell’espansione mineraria in Africa” pubblicato il 31 gennaio 2024 sul sito The Conversation, gli autori Julien Gourdon, Emilie Normand, Hugo Lapeyronie e Philippe Bosse sottolineano che l’80% degli investimenti minerari in Africa è realizzato da aziende occidentali e prevalentemente anglosassoni (7). Il Canada appare particolarmente attivo con 98 aziende, per un fatturato nel continente di 37.040 milioni di dollari, nel 2022 (8).

Secondo società di consulenza come McKinsey, dalla liberalizzazione del settore minerario, nei primi anni 2000, si sono piazzati nuovi attori. Nel 2018, i cinesi avevano già investito in una trentina di progetti di sfruttamento, cifra che da allora ha subito un’evoluzione significativa, con le imprese cinesi che hanno esteso la loro azione ai progetti di esplorazione (9).

Infine la Russia, senza essere un attore principale, investe in diamanti e platino nell’Africa meridionale e in oro nell’Africa occidentale. Il gruppo Wagner, ribattezzato Africa Corps, fornisce sostegno militare contro le concessioni minerarie in Sudan e nella Repubblica Centrafricana. In Mali il sistema è più insidioso: nel nome della sovranità statale è stata adottata una riforma del Codice minerario, che ha aumentato la quota dello Stato dal 20% al 30% del capitale delle Società di estrazione dell’oro, per la maggior parte anglosassoni. Nuove entrate fiscali, secondo The Blood Gold Report, che permettono di finanziare l’intervento del corpo di spedizione russo (10). Cambiamenti che potrebbero spingere le aziende occidentali ad andarsene.

Ricomposizione del gioco delle potenze nel Sahel e nell’Africa occidentale

Guardando all’espansione russa, alcuni analisti concludono che la Guerra Fredda sta tornando nel continente. Se questa ipotesi non può essere esclusa, al momento assistiamo a una situazione molto volatile. I russi sono impegnati in una strategia offensiva per destabilizzare la Francia e l’Occidente, senza che quest’ultimi abbiano ancora deciso una contro-strategia, individuale o comune, in una sequenza di affermazioni di regimi neo-sovranisti.

Gli Stati del Sahel centrale si fanno pienamente carico del loro partenariato con Mosca nella lotta al Terrorismo. Mentre il Ciad, la Mauritania o altri, al di fuori del perimetro dell’Africa occidentale, come il Sudafrica, pretendono di lavorare con tutti gli attori. Dopo la campagna condotta sul tema della rottura con la Francia, c’è chi teme che il Senegal cada nel campo russo. Al momento non c’è nulla che confermi questo cambiamento. Il presidente Faye ha invocato una “cooperazione virtuosa, rispettosa e reciprocamente produttiva” quando il suo primo ministro Ousmane Sonko, un tempo più virulento – “è ora che la Francia ci lasci in pace” (11) -, ha approvato nel novembre 2023 l’apertura di un Centro commerciale Auchan nella sua città di Ziguinchor.

La diplomazia francese ora gioca in maniera vellutata. I suoi alleati europei e americani sono in guardia contro questo partner ingombrante. Gli Stati Uniti hanno preso le distanze dalla loro politica in Niger solo per essere ringraziati dalla giunta militare (denuncia del loro accordo militare in seguito al quale hanno accettato la chiusura della loro base ad Agadez, nel nord del Paese). Resteranno nei paesi del Golfo di Guinea? Tutto dipenderà dal nuovo presidente Americano, che verrà eletto il prossimo novembre. In questo sconvolgimento geopolitico ancora difficile da comprendere, l’unico elemento che diamo per scontato è che ormai gli africani desiderano scegliere il proprio partner, segno di affermazione della loro sovranità.

(1) Cfr. Roussy Caroline (dir), “Afrique un sentiment antifrançais  ”, RIS, 133, primavera 2024, pp. 47-172

(2) https://africacenter.org/fr/spotlight/migratory-tendencies-to-surveiller-en-afrique-en-2024/

(3) L’UEMOA riunisce Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo, mentre la CEMAC riunisce Camerun, Repubblica Centrafricana, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale e Ciad.

(4) ECOWAS: Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale

(5) SYLLA Ndongo Samba, “Le Franc CFA est une arme invisible que la France peut toujours utiliser pour mettre au pas les dirigeants dissidents”, in RIS 133, op.cit.

(6) NUBUKPO Kako, “Le débat sur les avantages et inconvénients du franc CFA reste interdit ”, Le Point, 16 aprile 2024, https://www.lepoint.fr/afrique/kako-nubukpo-le-debat-sur-i-vantaggi-e-gli-svantaggi-del-franco-cfa-resto-interdit-16-04-2024-2557837_3826.php

(7) https://theconversation.com/les-nouveaux-entreprises-de-lexpansion-miniere-en-afrique-220605

(8) https://ressources-naturelles.canada.ca/cartes-outils-et-publications/publications/publications- rapports-mines materiaux/actifs-miniers-canadiens/actifs-miniers-canadiens-amc-selon-le-pays-et-la-region/15407

(9) Op. cit.

(10) https://bloodgoldreport.com/, LE CAM Morgane, “In Mali, operatori minerari sotto pressione fiscale da Bamako per pagare i mercenari di Wagner”, Le Monde Afrique, 21 dicembre 2023, https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/12/21/au-mali-les-operateurs-miniers-sous-la-pression-fiscale-de-bamako-pour-payer-les-mercenaires-de-wagner_6207137_3212.html

(11) https://www.youtube.com/watch?v=fmCH4wKNes

Direttrice di ricerca all'Iris, specialista di Storia dell'Africa contemporanea

Caroline Roussy