USA2024, Joe Biden ha un problema: suo figlio Hunter

Nella corsa alla Casa Bianca i democratici contavano sulla via giudiziaria per escludere Donald Trump. Ma adesso i guai con la giustizia di Hunter Biden rischiano di pesare come un macigno sulla ricandidatura del padre

La campagna elettorale del 2024 si svolgerà anche in tribunale. Donald Trump rischia decenni di prigione a causa delle numerose accuse per aver cercato di ribaltare le elezioni; mentre Joe Biden ha visto crescere le pressioni per via delle indagini in merito al figlio Hunter, in sede giudiziaria come al Congresso.

Piuttosto che difendersi sui meriti, Trump contrattacca a livello politico e cerca di rimandare i processi al suo carico. Si attende l’intervento della Corte Suprema sulla questione dell’immunità e anche dell’esclusione dalla scheda elettorale, ma l’incertezza sulla possibilità di risolvere le questioni in modo soddisfacente prima del voto rimane. Per non parlare dei dubbi su quanto peserebbe effettivamente una condanna penale nelle preferenze degli elettori. Per Joe Biden, invece, l’entità del danno rimane tutto da valutare. Suo figlio Hunter è al centro delle attenzioni sia per i suoi discutibili affari internazionali sia per la sua travagliata vita personale. Da quando hanno preso il controllo della Camera dei Rappresentanti all’inizio del 2023, i repubblicani hanno accelerato le loro indagini per inchiodare il figlio del presidente, senza nascondere troppo la motivazione politica. Adesso oltre ai fatti singoli occorre considerare le potenziali conseguenze per il paese, nel momento in cui le istituzioni Usa sono molto preoccupate per il possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca.

Il ruolo di Hunter Biden è stato messo sotto i riflettori inizialmente durante il primo impeachment di Donald Trump nel 2019-2020. L’allora presidente aveva chiesto al suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky di fornire informazioni sul ruolo di Joe Biden nel licenziamento del
procuratore generale Viktor Shokin, accusato dall’amministrazione Obama e altri di non indagare a sufficienza sulla corruzione nel Paese.
Il problema è che Shokin era responsabile anche dell’inchiesta sulla società energetica Burisma, da cui Hunter ha ricevuto milioni di dollari per il suo ruolo di consigliere di amministrazione. Ruolo ottenuto subito dopo il cambio di regime a Kiev, seguito alla cosiddetta rivoluzione di Euromaidan. I dettagli sono noti ma il loro significato è fortemente dibattuto: per i repubblicani si tratta della prima tra tante indicazioni di un sodalizio corrotto della famiglia Biden, in cui il potente padre mirava a facilitare gli affari del figlio. Per i democratici è solo un tentativo di ribaltare la realtà e colpire Biden politicamente, così sminuendo i problemi giudiziari di Trump.

Nelle ultime settimane della campagna elettorale del 2020, invece, è arrivato lo scandalo del computer portatile di Hunter, lasciato in riparazione e pieno di foto del figlio di Biden con droghe, armi e spesso nudo. Il laptop conteneva anche numerosi messaggi e-mail in merito alle sue operazioni commerciali, con riferimenti che in alcuni casi sembrano implicare anche il padre. I repubblicani speravano di utilizzare questo episodio per danneggiare Joe Biden in vista del voto del novembre 2020, ma lo scandalo fu in gran parte ignorato dai media, con la comoda giustificazione che poteva trattarsi di un’operazione di disinformazione russa. Più tardi sarebbe stata confermata l’autenticità delle informazioni sul computer, finite sotto esame nelle indagini penali, favorendo l’inchiesta politica alla Camera.

Per i democratici si tratterebbe di reati minori che non toccano il presidente, per i repubblicani l’inizio di uno scandalo che potrebbe portare all’impeachment. Inizialmente, Hunter aveva raggiunto un accordo di patteggiamento con la procura, per evasione fiscale – successivamente regolarizzata – e per aver omesso di dichiarare che utilizzava droghe quando ha comprato una pistola. La reazione politica da parte dei repubblicani ha fatto bloccare l’accordo, e ora Hunter è stato incriminato formalmente, con nuove rivelazioni su come invece di pagare le tasse avrebbe speso quasi 700 mila dollari per le escort, circa 190 mila dollari per i club sessuali e altre centinaia di migliaia di dollari per oggetti di lusso e “bella vita”, evadendo un totale di un milione e quattrocentomila dollari.

Fin qui non è coinvolto il padre, anche se la Casa Bianca ha dovuto riconoscere implicitamente che Joe ha favorito gli affari del figlio. Si insiste, però, sulla mancanza di alcuna prova di vera corruzione, cioè del passaggio di mano di soldi. I repubblicani continuano a cercare indizi di qualche forma di tangente, una pistola fumante che potrebbe giustificare la loro decisione – già presa – di aprire un’indagine formale che mira ad estromettere il presidente. In tutto questo è forse l’immagine che conta più del reato formale. È evidente a tutti che Hunter Biden ha sfruttato il potere del padre per arricchirsi e il padre si è prestato, almeno in parte, presentandosi a pranzi o salutando per telefono gli interlocutori del figlio. Va ricordato che fare i soldi grazie a legami con persone potenti non è necessariamente un reato. Ma utilizzare il cognome Biden per fare soldi è in ogni caso un esempio di corruzione politica agli occhi del pubblico. Certo, lo ha fatto anche la famiglia Trump in altro modo quando era alla Casa Bianca – ribattono i democratici – ma mettere i due sullo stesso livello è già una vittoria per i difensori dell’ex presidente. Diversi repubblicani hanno ammesso i loro obiettivi politici nell’indagare su Biden; così come molti democratici sperano di poter escludere Trump dalle elezioni per via legale.

A questo punto occorre porre la domanda: è legittimo perseguire uno scopo politico anche attraverso il sistema giudiziario? Sarebbe preferibile rispondere di no, ma il periodo attuale non è di quelli normali.

Dalla campagna elettorale del 2016 ci sono stati tentativi di fermare Trump in nome della sicurezza nazionale, con funzionari del Fbi e del mondo dell’intelligence che hanno violato procedure e dato peso a elementi di prova molto deboli pur di perseguire Trump. Come nel 2020, la paura della Russia è stata invocata per stoppare sul nascere lo scandalo del laptop di Hunter Biden. Non è la prima volta che considerazioni istituzionali influenzano la giustizia, ma la campagna anti-Trump ha segnato una nuova fase, offrendo alla destra una giustificazione in più per utilizzare le indagini in chiave politica senza alcuna remora.

Oggi Donald Trump viene visto come una minaccia per la repubblica, perché ha messo sé stesso davanti alla Costituzione e ha mostrato di non aver alcun rispetto per lo stato di diritto. La tentazione di fermarlo attraverso i tribunali è forte, e cresceranno sicuramente le pressioni per raggiungere questo obiettivo se dovesse effettivamente avvicinarsi alla Casa Bianca una seconda volta. Si tratta, però, di un’arma a doppio taglio, che in democrazia può avere esiti inattesi, come si vede nel caso di Hunter Biden, i cui misfatti rischiano di rendere ancora più difficile la riconferma di suo padre alla presidenza nel novembre 2024.

Analista politico americano, Università Cattolica di Milano. Autore di Perché vince Trump (2016).

Andrew Spannaus