Un articolo di: Paolo Deganutti

C'è un disegno strategico occidentale messo a fuoco a Washington per creare un Triangolo Trieste-Danzica (in lingua polacca si chiama Gdansk)-Costanza, denominato corridoio N3. Viene presentato come un corridoio commerciale, ma in realtà avrebbe molto più senso in una logica militare di blocco per fronteggiare la Russia. Ecco perché il Porto libero di Trieste rischia di diventare il perno di una fortezza a tre lati.

Il 21 maggio scorso la rivista dell’Atlantic Council ha pubblicato l’articolo “Collegare i mari Baltico, Nero e Adriatico servirebbe gli interessi sia europei sia della NATO” firmato da un gruppo di quattro esperti: Kaush Arha (USA), Adam Eberhardt (Polonia), Paolo Messa (Italia), George Scutaru (Romania).
L’articolo era corredato dalla mappa (a sinistra) che traccia il “Triangolo Trieste, Danzica, Costanza” denominato “corridoio N3”.

Si tratta di quattro autori molto autorevoli. Kaush Arha è presidente del Free & Open Indo-Pacific Forum e membro senior non residente presso l’Atlantic Council e il Krach Institute for Tech Diplomacy a Purdue. Adam Eberhardt è vicedirettore del Centro per gli studi sull’Europa orientale dell’Università di Varsavia. L’italiano Paolo Messa è un senior fellow non residente dell’Atlantic Council e fondatore di Formiche, un progetto culturale ed editoriale. George Scutaru è l’amministratore delegato del New Strategy Center ed ex consigliere per la sicurezza nazionale del presidente della Romania.
Analoghe tesi, anche se con un taglio più storico e culturale, i due dei quattro autori, Arha e Messa, hanno sostenuto anche il marzo scorso nell’articolo “Perché un porto italiano è centrale nella competizione indo-pacifica” sul bimestrale americano di orientamento repubblicano The National Interest, pubblicato a Washington DC .
L’Atlantic Council è un autorevole think tank statunitense, molto operativo e con sede a Washington, il cui scopo è “promuovere la leadership americana e promuovere accordi internazionali basati sul ruolo centrale della comunità atlantica nell’affrontare le sfide del XXI secolo”.
Nell’Europa centro-orientale è particolarmente noto per aver promosso il Trimarium, in altre parole l’’Iniziativa dei Tre Mari (Three Seas Initiative, 3SI), che attualmente accomuna tredici Paesi, dall’Estonia alla Grecia, situati lungo l’asse nord-sud tra i mari Baltico, Adriatico e Nero. L’iniziativa, nata nel 2014 su input americano da una prima convergenza di Polonia, Romania e Croazia si è successivamente allargata fino a comprendere la Grecia, ultima arrivata nel settembre del 2023, che porta in dote la grande base americana nel porto di Alessandropoli, vicino ai Dardanelli, cui si aggiungono le basi di Stefanovikio, Creta Souda Bay e Larissa.

Il triangolo Trieste-Danzica-Costanza viene denominato corridoio N3 ed è stato concepito a Washington. Può sembrare un disegno commerciale ma in realtà è presentato come “difesa dall’aggressione militare russa e dalla coercizione cinese”

Per motivare l’importanza del triangolo dei corridoi N3, l’articolo sostiene che: “La maggiore presenza avanzata dell’Alleanza Atlantica, volta a ottenere la deterrenza attraverso la negazione del territorio, rende essenziale essere in grado di posizionare rapidamente le forze in prima linea e spostare rapidamente queste forze lungo il fronte secondo necessità. La maggior parte dei corridoi ferroviari e stradali esistenti in Europa corre in direzione est-ovest. C’è un urgente bisogno di integrare questi corridoi latitudinali con il pronto dispiegamento di arterie longitudinali per mobilitare le forze lungo il fronte orientale della NATO e per approfondire l’integrazione economica dell’Europa centrale e orientale”.

L’articolo sostiene inoltre che bisognerebbe destinare ai corridoi N3 una parte del fondo di 100 miliardi di dollari proposto dal segretario della NATO Stoltenberg per l’Ucraina e si conclude così: “Gli Stati Uniti, l’Europa e la NATO devono rafforzare la loro resilienza economica e militare collettiva per affrontare sia l’aggressione militare della Russia che la coercizione economica cinese. I corridoi N3 servirebbero entrambi gli obiettivi. Non solo mobiliterebbero meglio tutta la potenza delle capacità militari e di difesa dell’Europa centrale e orientale, ma trasformerebbero anche potenzialmente l’impegno della regione con l’economia globale. Non si dovrebbe risparmiare tempo nel mettere in atto questo progetto strategico.”

L’analista di Limes, Mirko Mussetti, nell’articolo “Il Trimarium divide l’Occidente e il mondo russo” pubblicato dal mensile Rivista Marittima della Marina Militare Italiana del marzo del 2022 spiegava: “Sostenuta fortemente dagli Stati Uniti, l’Iniziativa dei Tre Mari (I3M, gergalmente Trimarium) è una riedizione regionale degli scopi geopolitici della NATO: mettere gli americani dentro, tenere i russi fuori e i tedeschi sotto. Dunque funzionale all’estensione dell’egemonia americana nell’Europa centro-orientale in funzione primariamente antirussa, ma utile a marcare stretto Berlino e a contenerne le sue tendenze espansive. Questo spiega la frequente partecipazione di alti funzionari di Washington ai vertici dei dodici paesi racchiusi tra i mari Baltico, Nero e Adriatico”.

E ancora: “Eppure l’evidente interesse americano per questa piattaforma di cooperazione economica e infrastrutturale palesa l’obiettivo di Washington di deteriorare o rendere in ogni momento sabotabili i progetti di maggiore autonomia europea (economica, strategica o culturale) dalla straripante influenza nordamericana, concepiti nelle capitali occidentali del Vecchio Continente. Un fronte filoamericano compatto e solerte nell’eseguire i diktat della Casa Bianca diviene formidabile nel mitigare o procrastinare le politiche di integrazione discusse a Bruxelles. A partire dalla ricorrente idea di dotare l’UE di una difesa comune, alternativa e potenzialmente in competizione con l’Alleanza Atlantica.”
Inoltre: “Tra i principali progetti vi è il tracciato ferroviario «Rail2Sea» che collegherà Danzica (Polonia) sul Mar Baltico a Costanza (Romania) sul Mar Nero. Spostare merci da un mare semi-chiuso a un altro bacino semichiuso non è una grande idea; per rifornire i mercati mitteleuropei è assai preferibile avvalersi dei collegamenti logistici alla città portuale di Trieste sul terzo mare: l’Adriatico. (vedi piantina successiva ndr) Dunque il senso profondo del progetto ferroviario Rail2Sea promosso dagli Stati Uniti non risiede tanto nello sbandierato sviluppo economico, bensì nel trasporto efficiente di mezzi militari lungo l’intero fianco orientale della NATO…. La simmetria della nuova cortina di ferro virtuale è macroscopica e si appoggia sui due bastioni del fianco orientale dell’Alleanza Atlantica: Polonia e Romania.”

Trieste può diventare il porto strategico della nuova cortina di ferro in Europa: il vertice più arretrato del triangolo. Importante sede logistica, capitale delle retrovie

Se si traccia la linea retta tra Danzica e Costanza, si vede che scorre vicinissima e quasi parallela alla linea che congiunge l’exclave russa di Kaliningrad (la vecchia Königsberg che ha dato i natali a Kant) e la città di Odessa, il porto strategico ucraino sul Mar Nero, attraversando la Transnistria che è praticamente un’altra exclave sotto controllo russo.

È la linea rossa dell’Istmo d’Europa, ovvero il fronte più corto tra il Russkiy mir (mondo russo) e l’Europa sotto l’influenza americana, costellato di basi militari e missilistiche.

Ma questa linea di fronte ha bisogno, in caso di scontro, di essere alimentata logisticamente e con truppe.

Ed ecco il senso del terzo vertice del Triangolo: il porto strategico di Trieste che tra l’altro è vicinissimo alla base aerea americana di Aviano da cui nel 1999 partivano i jet che, durante la guerra del Kosovo, bombardavano la Serbia e Belgrado.

Nella mappa successiva (sotto) si vede il triangolo auspicato dalla rivista dell’Atlantic Council sovrapposto (in blu) a una precedente mappa dell’Istmo d’Europa (tracciato in rosa e con segnate le principali basi militari contigue) pubblicata in un articolo di InsideOver del dicembre 2021, prima dell’entrata delle truppe russe in Ucraina.

Fig.3

L’utilizzo militare di un “Porto Franco Internazionale” come Trieste non è consentito dal Trattato di Pace del 1947 che regola la sua funzione

Trieste è un porto dotato di fondali profondi in grado di accogliere le più grandi navi di ultima generazione e ben collegato con l’entroterra europeo tramite una rete ferroviaria che esiste dal 1859, eredità dell’Impero Asburgico.
La ferrovia è il mezzo d’elezione per il trasporto rapido di mezzi pesanti, armamenti e truppe.

È un Porto Franco Internazionale come stabilito dal vigente Trattato di Pace del 1947 e dal suo allegato VIII ma da settant’anni il governo italiano, che ne è l’amministratore dal Memorandum di Londra del 1954, è restio ad applicarne in pieno le caratteristiche sia di extradoganalità sia di disponibilità per l’intera comunità internazionale senza esclusione o limitazione alcuna “come è usuale negli altri porti liberi del mondo”(art.1 All. VIII TdP 1947), continuando a trattarlo come un qualsiasi porto nazionale, tranne che per alcuni aspetti doganali.

E questo nonostante le continue sollecitazioni all’ applicazione piena dello status di Porto Franco degli operatori portuali, anche colossali come MSC, e della politica locale su spinta della cittadinanza.

Un uso militare, o “dual use”, a favore di un solo schieramento e con esclusione di altri, non sembra coerente né con lo spirito di un Porto Franco né con la legislazione internazionale tuttora vigente.

 

L’offerta al porto di Trieste, che sta soffrendo molto per il semi blocco del Canale di Suez dovuto alla crisi di Gaza, sarebbe quella di farne il terminal europeo della “Via Del Cotone”: la risposta americana alla “Nuova Via Della Seta” cinese che doveva avere nel porto giuliano il suo terminal marittimo prima di essere bloccata dall’intervento statunitense

Molto probabilmente la popolazione non apprezzerebbe il fatto di essere diventati una base di logistica militare strategica in caso di conflitto: soprattutto considerando lo sviluppo delle armi a medio – lungo raggio destinate a colpire in profondità nelle retrovie proprio questo tipo di centri logistici.

Con il Trimarium, idea partita dalla Casa Bianca nel 2014 recuperando e aggiornando l’Intermarium del maresciallo e Capo di Stato polacco Józef Piłsudski – una delle più significative teorizzazioni geopolitiche relative allo spazio centro-orientale dell’Europa – gli strateghi americani si sono mossi serrando le fila dei paesi mitteleuropei e legandoli logisticamente e difensivamente alle decisioni di Washington. Il processo è annoso e prosegue in modo simmetrico, lento e morbido: formalmente per “stimolare il commercio e la connettività nei campi del trasporto, dell’energia e delle infrastrutture”.

Tuttavia un progetto infrastrutturale ha bisogno di ingenti capitali ma il Trimarium non è dotato di fondi sufficienti per realizzare le opere previste per un costo di almeno sette miliardi. Gli Stati Uniti avevano detto che sarebbero intervenuti mettendoci il doppio dei capitali raccolti dagli stati aderenti ma quando la Polonia ha messo a disposizione 735 milioni ci hanno ripensato e si sono detti disponibili solo a fornire prestiti: solo dopo trattative hanno concesso circa 300 milioni. Di fatto lo scorso anno la disponibilità era di circa un miliardo da erogare, però, solo se viene garantito un ritorno, decisamente esoso, del 14%.

Si parla di possibili, ma non meglio specificati, finanziamenti tramite la Bers e la Bei e di consenso politico europeo, ma gli Stati del Trimarium rappresentano solo il 15% del PIL totale della UE ed evidentemente non hanno la forza economica per realizzare tutte le 143 infrastrutture progettate (ferrovie, strade, energia, cavi di connessione dati).

La dimensione strategico militare del Trimarium ha dunque preso decisamente il sopravvento su quella economica anche in conseguenza della crisi ucraina.
Contribuendo solo col 30% del denaro al Fondo Trimarium, gli Stati Uniti scaricano gran parte dei costi dei propri interessi strategici sui tredici paesi membri.

Ora si vuole coinvolgere concretamente Trieste, storico “gate” intermodale per l’Europa centro-orientale che offre il vantaggio di avere già le infrastrutture ferroviarie, ipotizzando la partecipazione al Trimarium del suo territorio anche se non dell’Italia.

Non si tratta solo di speculazioni geopolitiche o di articoli di rivista (che in realtà sono preparatori all’operatività): si sono attivati contatti, si fanno prospezioni e pressioni, si organizzano riunioni locali e negli USA e si programmano grandi eventi promozionali.
Ma a Trieste non vengono offerte nuove infrastrutture come, ad esempio, i desiderati cavi dati sottomarini che creerebbero un indotto di sviluppo e insediamenti produttivi ad alto valore aggiunto, come già avviene al porto di Marsiglia dove producono più reddito che non le merci tradizionali.
L’atterraggio dei cavi sottomarini per sviluppare le infrastrutture informatiche nell’Europa centro-orientale è previsto dal Trimarium a Costanza (Romania), Danzica (Polonia) e in Croazia, Paesi fedelissimi.

L’offerta al porto di Trieste, che sta soffrendo molto per il semi blocco del Canale di Suez dovuto alla crisi di Gaza, è quella di farne il terminal europeo della “Via Del Cotone”: la risposta americana alla “Nuova Via Della Seta” cinese che doveva avere nel porto giuliano il suo terminal marittimo prima di essere bloccata dall’intervento statunitense.

La “Via Del Cotone”, ovvero “India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC)”, è un progetto di corridoio logistico tra l’India e l’Europa che dovrebbe far transitare le merci dall’India ai porti dell’Arabia Saudita per fare poi un percorso terrestre fino al porto israeliano di Haifa da cui riprendere il mare fino in Europa.

Ma mentre gli scambi di merci tra la Mitteleuropa e la Cina sono rilevantissimi (il primo partner commerciale della Germania è la Cina) quelli con l’India sono poco significativi. Inoltre la crisi in Medioriente ha reso impraticabile il percorso terrestre fino al porto israeliano oltre ad avere, per il momento, compromesso gli stessi “Accordi di Abramo” cui stava aderendo l’Arabia Saudita.

Ciò non bastasse, la Turchia, attore regionale di sempre maggior peso che estende la sua influenza nel Mediterraneo dalla costa turca alla Libia con la dottrina della “Mavi Vatan – Patria Blu”, si oppone perché sarebbe tagliata fuori dai flussi commerciali.

“L’ho detto chiaramente e lo ripeto: senza la Turchia non si fa nessun corridoio” aveva tuonato Recep Tayyip Erdogan dopo il vertice del G20 del settembre 2023 a Delhi dove erano stati firmati protocolli per l’Imec (India-Middle East-Europe Economic Corridor) comunemente noto come “Via del Cotone”.
Ed ha rincarato: “Se si vuole collegare il Golfo Persico con l’Europa la Turchia rimane la via più logica”.

A differenza del corridoio IMEC quello avanzato da Erdogan prevede un sistema di collegamenti ferroviari e di autostrade che unisca i porti di Emirati e Qatar con l’Europa attraverso Iraq e Turchia.

Erdogan ha rivelato che Emirati, Qatar e Turchia sono “prontissimi a iniziare” e nessuno dei partner coinvolti “ha intenzione di perdere altro tempo”. Questo progetto di sviluppo infrastrutturale riguarda essenzialmente l’Iraq e prevede la costruzione di una linea ferroviaria a doppio binario lunga circa 1.200 chilometri e un’autostrada di collegamento con il porto di Al-Faw, nella provincia irachena di Bassora.

La Turchia e le “monarchie petrolifere” del Golfo Persico hanno sottolineato la possibilità che il corridoio commerciale venga affiancato anche da oleodotti e gasdotti e da impianti industriali lungo il percorso.

La Turchia ha grande importanza per Trieste dove ormai il 60% delle merci in transito, di cui il 90% per l’Europa, proviene o è destinata ai porti turchi che hanno visto aumentare il loro lavoro anche grazie alla deviazione dei flussi e alle triangolazioni provocate dalle sanzioni occidentali a Russia e Iran.

Intanto la Cina, tramite la sua gigantesca China Communication Construction Company (CCCC), ha appena acquisito il 49% del porto in via di costruzione di acque profonde di Anaklia sul Mar Nero in Georgia, collegato con il Trans-Caspian International Transport Route (TITR), meglio conosciuto come Middle Corridor: un ramo fondamentale della “Nuova Via della Seta” di Pechino che dovrebbe connettere Cina ed Europa e sul quale è molto attiva la Turchia con i suoi partners centroasiatici.

Anche il porto georgiano di Anaklia ha l’ ambizione di collegarsi con il Golfo Persico (Bassora in Iraq) tramite lo stesso tracciato indicato dalla Turchia.
Ankara ha da poco richiesto di aderire ai BRICS, appoggiata da Brasile e Russia, e l’11 giugno il suo ministro degli esteri Hakan Fidan è volato in Russia per partecipare al suo vertice mentre si appresta a partecipare alla prossima riunione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai il 3-4 luglio prossimo insieme a Cina, India, Iran,Kazakistan, Kirghizistan, Pakistan, Russia, Tagikistan e Uzbekistan.

L’ambasciatore americano in Turchia, Jeff Flake, in un’intervista ha invece manifestato la sua speranza che la Turchia resti fuori dai BRICS.
Il “Grande Gioco “ è tornato e non solo in Asia Centrale: dal momento che viviamo in un mondo globalizzato gli effetti si manifestano anche in Europa e vengono coinvolte direttamente città portuali come Trieste che in Italia è vissuta come periferica “la città in alto a destra” ma che è invece centrale in questo contesto geopolitico in ebollizione.

Al momento “Il Nuovo Grande Gioco” si sta occupando di infrastrutture e corridoi logistici, energetici e di dati ma sempre più di questioni militari: la guerra in Ucraina è stata il grande game-changer insieme al semiblocco di Suez.
La situazione come si vede è complessa e in rapida evoluzione e sarà opportuno esaminarla in successivi articoli di approfondimento.

Giornalista, scrittore

Paolo Deganutti