La versione originaria del termine "atlantismo", che esprimeva convincimenti antinazisti e democratici, ha lasciato posto all'atlantismo militare della NATO, secondo cui il comunismo era il nemico. Caduto il Muro, non è finita per tutti la contrapposizione. Anche se in Italia (e in Israele) l'atlantismo ha diverse anime e interpretazioni...
Nella dichiarazione di Terranova è contenuto uno spirito atlantico “universale”, che comprendeva la Russia sovietica. Solo con la Nato l’atlantismo diventa anticomunista
Il termine atlantismo è stato inteso in vari modi. Nella versione originaria esprimeva convincimenti antinazisti e democratici, formulati al largo di una baia di Terranova da Churchill e Roosevelt nel 1941, poi sottoscritti anche da 26 alleati, incluso Stalin. Tra i principi dell’Atlantic Charter c’erano valori comuni, come l’autodeterminazione dei popoli, la cooperazione pacifica globale, evitare a tutti i costi un’altra carneficina come la Seconda guerra mondiale. Su quelle basi ideali nacquero poi l’ONU e tante speranze di un mondo migliore. Una cosa ben diversa è il North Atlantic Treaty, firmato a Washington nel 1949, che ha dato origine alla NATO, in funzione nettamente antisovietica e anticomunista.
Questo secondo atlantismo era nato nella convinzione che il comunismo fosse un sistema talmente sbagliato, nella teoria e nella pratica, da legittimare una reazione senza esclusione di colpi. Sono avvenuti misfatti, in nome del comunismo come in nome dell’anticomunismo. Il fine ha giustificato i mezzi peggiori. In nome dell’anticomunismo, strutture paramilitari clandestine furono create dalla Nato e dalla CIA, nei Paesi europei, dal 1956. In Italia è celebre una struttura Stay Behind, Gladio, comandata per un lungo periodo da un generale, Paolo Inzerilli, che è morto il 24 marzo 2024. Il generale era fortemente legato a ideali liberali e democratici. Un atlantista al mille per mille. Alcuni giornali hanno tuttavia ricordato che, nonostante fosse un irreprensibile atlantista, nell’ultima parte della sua vita era diventato un rigoroso critico del corrente atlantismo. Varie sue pubbliche dichiarazioni ripetevano argomentazioni che ricalcavano le più classiche tematiche filorusse: in particolare, era a favore della demilitarizzazione dell’Ucraina e contrario al suo ingresso nella Nato.
In Italia va su di giri il dibattito sull’atlantismo del 21° secolo
Per vari motivi, in Italia c’è un dibattito unico sull’odierno atlantismo. Soltanto in Israele c’è un confronto aperto, democratico, sfaccettato, paragonabile a quello italiano; da Moshe Dayan a Yitzhak Rabin, fino ad Ariel Sharon, la storia israeliana è caratterizzata da generali che hanno cambiato idea e che hanno espresso coraggiosamente in pubblico posizioni apparentemente in contraddizione con il loro passato.
Il caso del generale Inzerilli getta luce su un fenomeno occidentale che non è adeguatamente raccontato e che non esiste soltanto in Italia. C’è una serie ampia e significativa di persone che sono state atlantiste, ma sono diventate molto critiche dell’odierno atlantismo. Non parliamo di filorussi, ma di persone per decenni schierate su posizioni insospettabili; oggi sono ancora su quelle posizioni, tranne il conflitto in Ucraina. Non parliamo di persone comuni, ma di generali, ambasciatori, giornalisti, esperti di intelligence. Questa resistenza “atlantista” all’odierno “atlantismo” è evidente in Italia, con casi di rilievo macroscopico. Molti atlantisti esprimono le proprie riserve attraverso mezzi di fortuna, come Facebook, o nelle cucine di casa, in un senso per certi versi simile a quanto Svetlana Alexievich pretende sia possibile soltanto in una dittatura. Insieme ai generali, tanti stimati studiosi hanno espresso meditate riserve. Ad esempio, il fisico Carlo Rovelli, che ha notorietà mondiale, regolarmente recensito sul Wall Street Journal con la massima benevolenza.
Ci sono dissensi, dubbi, timori nei confronti delle strategie guerrafondaie occidentali.
In Italia queste resistenze affiorano nettamente, in altri paesi sono più o meno sottotraccia. Davos è un caso esemplare. Difficile immaginare che Klaus Schwab abbia più fiducia in Jake Sullivan e in Antony Blinken che nel suo maestro, Henry Kissinger. Klaus Schwab ha scritto Covid-19: The Great Reset, ma pensava ad un altro genere di riassemblaggio. Come Bill Gates, teme che mille altri malanni siano incombenti: non vuole le terapie di Berni Sanders o di Noam Chomsky, ma non vuole neanche un’avventura geopolitica che renderebbe ancora più complicato quel vecchio e imperfetto mondo nel quale eppure sono stati fatti bei miliardi.
Guerre e conflitti: la situazione internazionale va a rotoli
Lo stesso vale per tanti altri: in prospettiva, il futuro a Davos era auspicato come inclusivo, resiliente, sostenibile. Tutti gli scontri, da Gaza all’Ucraina, dalla guerra commerciale con la Cina all’improvvisa crescita di un’India altamente conflittuale, disegnano una situazione internazionale sempre meno governata, sempre più centrifuga e problematica; Klaus Schwab e Bill Gates pensavano ad un altro vaccino, non alle armi atomiche o a fomentare l’odio tra le nazioni e dentro le nazioni. A Davos, nel gennaio 2024, Jack Sullivan è stato tutt’altro che rassicurante, quando ha detto che “l’era post-guerra fredda è giunta al termine, siamo all’inizio di qualcosa di nuovo” oppure quando ha detto che è impensabile che “un gruppo come gli Houthi possa sostanzialmente dirottare il mondo come stanno facendo”. Quanti altri “impensabili” Houthi esistono? Siamo all’inizio di “qualcosa” di nuovo, dunque imponderabile? pensavano a Davos, mentre apparentemente applaudivano Sullivan o l’ancora più enigmatico Milei.
Per i propri sudati risparmi, 2.781 miliardari sono oggi in apprensione. Come tanti altri, pensano che potrebbero svegliarsi domani comprendendo che le cose sono diverse da quello che appaiono. Lo stesso è accaduto a tanti atlantisti di ieri. Francesco Gironda fu grande amico del generale Inzerilli, con il quale aveva collaborato strettamente, in quanto esperto di guerra psicologica e portavoce di Gladio. Dopo avere studiato le interferenze avvenute in Italia e che lentamente sono state scoperte e analizzate, alla fine Francesco Gironda, come Paolo Inzerilli, aveva cambiato idea su un punto fondamentale: “Per anni ho creduto di combattere una guerra contro il comunismo e non mi rendevo conto di stare combattendo una guerra contro gli interessi dell’Italia”. Il più illustre studioso di questi temi, Giovanni Fasanella, ha raccontato e spiegato bene le ragioni di un tale singolare approdo. Molti atlantisti domani potrebbero arrivare alla conclusione che avevano creduto di dover partecipare ad una guerra contro la Russia; invece, sono stati trascinati in una guerra contro gli interessi europei. Una lunga guerra, condotta da un gruppo altamente ideologizzato e determinato, che travisa e tradisce i primordiali valori atlantici.
Piaccia o no, ci sono diversi atlantismi e diversi modi di interpretare la lotta per la libertà e la democrazia dei popoli
Ci sono in conclusione diversi atlantismi. Quello originario, del 1941, è trascurato, anche dal punto di vista memorialistico e monumentale, abbandonato a quattro sedie e due cartelloni tra sabbia e scogli, a Placentia Bay, lungo le coste di Terranova, a pochi chilometri da St. Johns, in Canada. C’è poi un altro atlantismo, diverso da quello del 1941, perché dominato da Five Eyes, l’alleanza di intelligence dell’anglosfera, che non ammette tra i soci neanche i francesi o i tedeschi. Ci sarà anche un terzo atlantismo, impegnato a fare i conti e a calcolare chi ha perso e chi ha vinto in questa ultima guerra “in” o, più precisamente, “contro” l’Europa.