1823-2023: Dottrina Monroe vecchio arnese di grande attualità

Compie due secoli l’indirizzo di politica estera degli Stati Uniti. Adottata dai vari Presidenti con ferma determinazione, o rielaborata per limitarne gli effetti, la Dottrina Monroe continua a essere la stella polare per proiettare il potere di Washington nel mondo.

Un concetto fondante della politica estera e di sicurezza americana veniva enunciato, esattamente due secoli fa, dal presidente James Monroe nel suo messaggio al congresso sullo stato dell’Unione del dicembre 1823. Con esso egli poneva le basi della famosa ”dottrina”, a suo nome, che sarebbe diventata la norma della vita politica americana: gli Stati Uniti non sarebbero intervenuti in Europa e avrebbero riconosciuto le colonie esistenti nel Nuovo Mondo; d’altro canto, qualsiasi tentativo da parte delle potenze europee di estendere d’allora in poi la propria influenza su qualsiasi parte delle Americhe sarebbe stato considerato un gesto ostile.  Questa dichiarazione di Monroe, spesso interpretata come la Bibbia dell’isolazionismo americano – significato che ha assunto solo in seguito – fu una risposta diretta alla politica di intervento delle potenze europee. In particolare al progetto di una spedizione della Spagna, sostenuta dalla Francia, volta ripristinare il dominio coloniale di Madrid nell’America Latina, ma anche rispetto alle ambizioni della Russia che, con un ukase del settembre 1821, aveva decretato che il nord del Pacifico, dallo stretto di Bering al 51° di latitudine, doveva essere riservato al commercio ed eventualmente all’occupazione russa. Questo passo veniva effettuato dopo aver escluso l’ipotesi di una dichiarazione congiunta con l’Inghilterra, per evitare di trovarsi poi le mani legate di fronte ad ulteriori sviluppi nell’America Latina, dando però per scontato l’appoggio inglese nel caso di un’accentuazione delle tensioni con le potenze europee.  Infatti, il nuovo ministro degli esteri britannico Canning, di simpatie liberali e interessato al mantenimento dell’apertura dei porti latinoamericani alle navi e al commercio inglesi, già dall’ottobre aveva chiarito all’ambasciatore francese a Londra, Polignac, che se la Francia fosse intervenuta l’Inghilterra avrebbe dovuto “consulter ses intérêts”. E’ quindi opinione diffusa che la dichiarazione di Monroe, alla base la famosa “dottrina”, sia stata enunciata sotto la copertura della flotta inglese. Nel dicembre 1845, in occasione dell’annessione del Texas, il presidente James Polk ribadiva il “principio” della “dichiarazione del signor Monroe”, chiarendo ulteriormente che se gli Stati Uniti avessero annesso uno Stato americano fino ad allora indipendente, nessuna potenza europea avrebbe avuto titolo per intervenire invocando il principio del balance of power, assolutamente estraneo alle dinamiche del continente americano.

Vent’anni dopo, terminata la guerra di secessione, gli Stati Uniti imponevano l’evacuazione delle truppe francesi dal Messico in rivolta contro Massimiliano d’Asburgo invocando la dottrina di Monroe.

Sulla finire del secolo il presidente Cleveland coglieva l’occasione di una disputa territoriale fra l’Inghilterra e il Venezuela per imporre la sua concezione di “monroismo rafforzato”, secondo cui nessuna questione riguardante il continente americano poteva essere affrontata e risolta senza la partecipazione degli Stati Uniti.

Con Theodore Roosevelt, all’inizio del nuovo secolo, veniva completata la trasformazione della Dottrina di Monroe in strumento per affermare il controllo strategico di Washington almeno sul settore dell’Emisfero occidentale più vicino al territorio degli Stati Uniti, ossia l’America centrale continentale e insulare. Questo avveniva apponendovi un corollario che prendeva il nome del suo autore: Roosevelt. Il presidente, nel suo messaggio al Congresso del dicembre 1904, affermava che “un comportamento illecito cronico, o un’impotenza che si traduce…[sse] in un generale allentamento dei legami della società civilizzata, …[avrebbe potuto] in America, come altrove, richiedere in ultima analisi l’intervento di qualche nazione civilizzata, e nell’emisfero occidentale l’adesione degli Stati Uniti alla Dottrina Monroe …[avrebbe potuto] costringere gli Stati Uniti, anche se con riluttanza, in casi flagranti di tali illeciti o impotenza, all’esercizio di un potere di polizia internazionale”.

Ne derivava che Washington ammetteva l’intervento militare nelle repubbliche americane, riservandolo però solo a se’ ed escludendone gli europei in base alla dottrina di Monroe. All’indomani della prima guerra mondiale gli Stati Uniti ottenevano la esplicita menzione della compatibilità della dottrina di Monroe con il Patto della società delle Nazioni, e questo favorì un’ampia applicazione della politica di intervento, secondo il corollario Roosevelt, nelle Antille e nell’America Centrale.

L’arrivo dei democratici alla presidenza ne determinò un’accentuata limitazione, poi ridotta sostanzialmente con l’avvicendamento dei repubblicani alla presidenza. Ma alla fine, nel dicembre del 1928, con il memorandum Clark, si precisava che la Dottrina di Monroe era una dichiarazione indirizzata all’Europa e non all’America Latina. Reso pubblico solo due anni dopo, quel documento è stato considerato da alcuni commentatori come il ripudio ufficiale del corollario Roosevelt.

Un ripudio, comunque, non definitivo dato che Reagan l’ha ripetutamente adottata nelle crisi di Grenada, del Salvador e del Nicaragua fra il 1983 e il 1985. E altrettanto ha fatto George H. Bush con l’invasione di Panama nel 1989 pur invocando, i due presidenti, solo la Dottrina di Monroe. Più propriamente legata al suo spirito originario era stata invece l’invocazione del Patto di Rio, del ’47, fatta da Kennedy durante la crisi di Cuba nel 1962.

In tempi più recenti, nel 2013, il Segretario di Stato democratico John Kerry dichiarava ad un incontro dell’Organizzazione degli Stati Americani che l’era della dottrina di Monroe era ormai esaurita. Opinione esattamente opposta esprimeva invece Trump all’assemblea generale delle Nazioni Unite nel settembre del 2018, affermando che la politica formale degli Stati Uniti, fin dai tempi del presidente Monroe, era stata quella di rifiutare l’ingerenza di nazioni straniere nell’emisfero occidentale. Si annunciava così il contrasto non solo all’intervento straniero, ma anche all’influenza straniera nell’emisfero occidentale.

In questo modo il presidente Trump confermava l’affermazione, che la dottrina di Monroe era perfettamente in vita, fatta pochi mesi prima dal suo consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, il quale – quanto brevemente in questa funzione – ha segnato l’accesso a questo delicato organo dell’amministrazione presidenziale degli orientamenti neocons, che si sono poi perpetuati con i suoi successori nella nuova amministrazione democratica.

Una conferma della continuazione di questo trend è stata ravvisata in una recente affermazione di Biden che riaffermava il carattere di “Yard”, cioè cortile, dell’America, non più back, ma front di “tutto quanto si trova…[va] al di sotto del confine messicano”. Il recente schierarsi dell’Argentina accanto al Brasile nel format BRICS, e l’aspirazione manifestata da altri paesi latino americani a fare altrettanto, autorizza il dubbio che tutto quanto si trovi a sud del Messico possa davvero continuare ad essere “yard” degli Stati Uniti.

Storico Relazioni internazionali, Vicepresidente Comitato Atlantico, visiting Università di San Pietroburgo.

AntonGiulio de Robertis